Vorrei aggiungere alcune considerazioni alla risposta di Sara:
1) è ovvio che la congiunzione "e" con il pronome "ciò" non è un pronome relativo, e che in teoria il pronome relativo dovrebbe dare una coesione più forte alle due frasi, ma alla morfologia, alla "forma", non sempre corrisponde la "sostanza": dire, come nel mio esempio, "e ciò mi preoccupa" non è una semplice "aggiunta" a quanto detto prima, ma un completamento necessario. La congiunzione "e" in questo caso non ha solo la funzione di "aggiungere alla prima frase una seconda frase", in quanto la proposizione "Mario lavora troppo in questi giorni" non viene detta per caso, ma proprio perché sia seguita da "e ciò mi preoccupa". La differenza tra "e ciò" e "il che" è SOLO FORMALE, NON SEMANTICA.
È vero che, formalmente, "e ciò" esprime "coordinazione", mentre "il che" esprime "subordinazione" tra proposizioni, ma, come si legge nella Grammatica del Serianni (Cap. XIV, pag. 369, parag. 4 d)), "La scelta tra costrutto paratattico e costrutto ipotattico può essere equivalente sul piano logico-semantico: "la differenza - osserva giustamente TEKAVCIC 1980: II 423 - riguarda il lato formale, quasi mai il contenuto del messaggio: dire 'il tempo è brutto e non esco di casa', è perfettamente sinonimo, quanto al messaggio trasmesso, a 'poiché il tempo è brutto, non esco di casa', o 'non esco di casa perché il tempo è brutto', ecc.";
È fin troppo evidente che anche l'espressione con "e ciò", alla stregua di quella con "il che", è un altro modo, forse ancora più enfatico, di dire: "mi preoccupa che Mario lavori troppo";